Piazze e chiese del Settecento romano

Passepartout, 2006

In questo estratto Philippe Daverio introduce alcune importanti opere architettoniche del Settecento realizzate nella Roma dei Papi

Da Piazza di Spagna alla Fontana di Trevi, Philippe Daverio (1949-2020) in tour per Roma arriva alle due grandi basiliche di San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore: qui, evidenzia alcune caratteristiche architettoniche di una realtà poco compiacente verso il nuovo stile Rococò francese, perché patria della grande tradizione Barocca (da Passepartout. Lumi di Roma, 2006).
Se nel Seicento il papato aveva avuto la forza di plasmare il territorio di Roma innestando la prorompente immagine del Barocco che ancora in gran parte caratterizza tutt’oggi la città, nel Settecento l’importanza politica dello Stato della Chiesa è in netto declino. 
Daverio spiega come in un’epoca di grandi cambiamenti di forze ed equilibri politici, la chiesa inizia ad adottare l’importante arma della diplomazia per intrattenere rapporti con gli stati europei. Con grande abilità, i papi che si susseguono, a partire da Clemente XI (1700-1721), usano strumenti di attrazione e propaganda come l’esaltazione delle arti italiane, dalla musica al teatro, fino all’architettura, per imprimere la loro immagine nella Roma settecentesca, una realtà vivace, punto di ritrovo per stranieri in viaggio, nobili, collezionisti e studiosi, soprattutto spagnoli, tedeschi e francesi.  

E verso la fine del XVIII secolo, la centralità della grande Roma barocca verrà ceduta alla Francia e all'alba delle rivoluzioni, il papato è un piccolo Stato italiano privo di peso politico internazionale e sprovvisto di alleati pronti a difenderlo in caso di necessità

Un alto importante capitolo della decadenza del potere papale riguarda anche il radicamento e il diffondersi dell'Illuminismo francese nei ranghi della politica e della cultura, tanto che, dalla metà del Settecento, presso gli ambienti governativi si diffonde un forte sentimento anticlericale. 

Pietro Passalacqua e Domenico Gregorini, Facciata della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, 1741-’44, Roma 

Se Benedetto XIII (1724-1749) e Clemente XII (1730-1740) cercarono di opporsi alle nuove idee provenienti dalla Francia, Benedetto XIV (1740-1758), della famiglia bolognese Lambertini, più conciliante e anticonformista, attuò una serie di riforme di spirito illuminista e divenne un grande mecenate attento alle novità culturali. Sua la riqualificazione di monumenti importanti come la facciata della Basilica di Santa Maria Maggiore (1740-’41), quella di Santa Croce in Gerusalemme (1741-‘44) e la definitiva sistemazione della Fontana di Trevi (La Fontana di Trevi a Roma).


Nicola Salvi, Fontana di Trevi, 1732-’63, Roma

Nella prima meta del Settecento il tessuto urbano di Roma si arricchisce di interventi importanti che solo in parte assecondano il gusto Rococò. Gli architetti del Settecento romano, infatti, memori della grande lezione di Bernini, ma soprattutto di Borromini, attingono ad un vasto repertorio di soluzioni compositive e dal Barocco, riscoprono idee formali anche dai grandi maestri del Cinquecento di matrice classica. 
Tuttavia, intorno agli anni Venti del Settecento, l’elegante linea ondulata Rocaille della Francia di Luigi XV, incontra il motivo borrominiano del concavo-convesso che ha già acceso la fantasia di giovani architetti per le facciate di Chiese romane quali, Santa Maria Maddalena (Santa Maria Maddalena a Roma) di Giuseppe Sardi (1680-1753) e Santa Croce in Gerusalemme di Pietro Passalacqua e Domenico Gregorini. Entrambe, esibiscono il così detto “stile barocchetto romano” concepito con evidenti motivi di ascendenza borrominiana. Questo Rococò tutto romano, imprime anche le facciate dei palazzi dell’aristocrazia, ne è esempio eclatante Palazzo Doria Pamphili di Gabriele Valvassori (1683–1761) a via del Corso. Lo stile, inoltre, troverà spazio nella decorazione di interni, caratterizzati da un uso anticonvenzionale degli ordini e da un ricchissimo gioco di curve e complessità spaziali.

Il Rococò va delineandosi come un’esasperazione delle forme barocche private dalla concezione architettonica monumentale seicentesca

Svuotato dei suoi contenuti, il Barocco cede il passo ad un gusto più leggero, raffinato e decorativo, sia in architettura dove l’apice italiano è raggiunto da Filippo Juvarra a Torino, sia in opere pubbliche come la Fontana di Trevi del Salvi (1697-1750), che unisce l’idea borrominiana della natura in città con la decorazione Rocaille della grande conchiglia al centro, dominata da Oceano in posa elegante. 


Francesco De Sanctis, Disegno di Piazza di Spagna, Stampa di Girolamo Rossi, 1726, Gabinetto Nazionale dei Disegni e delle Stampe, Istituto Nazionale per la Grafica, Roma

Due le piazze che a Roma vestono la linea movimentata e sinuosa del Rococò: Piazza di Spagna e Piazza Sant’Ignazio, due opposte concezioni spaziali entrambi tipiche del Settecento, realizzate rispettivamente da Francesco De Sanctis (1693-1740) e Filippo Raguzzini (1680-1771). Ciò che più rende settecentesche le due piazze è in primis il disegno curvilineo meditato dalla grammatica del Borromini, anche in caso di dettagli, come balconi, balaustre di palazzi, frontoni, finestre e tanto altro. 


Drone su Piazza di Spagna, Roma

Perché “Piazza di Spagna”?
Nei primi anni del Cinquecento l’area di Piazza di Spagna, situata fuori dalla Roma medioevale, conquistava un ruolo di primaria importanza per la presenza di alberghi e appartamenti che davano ospitalità a pellegrini e stranieri in visita del Vaticano.
Tra Sei e Settecento, la piazza diventa uno dei centri più ambiti e animati, attrazione di turisti e illustri viaggiatori da tutta Europa; tra questi, gli artisti, poeti e scrittori che ne traevano fonte d’ispirazione.

Veduta di Piazza di Spagna con la Chiesa di Trinità dei Monti, Stampa XVII secolo

Prima della costruzione della piazza settecentesca, la chiesa francese di Trinità dei Monti, costruita con il patrocinio del re di Francia Luigi XII e ultimata da due grandi architetti, Giacomo Della Porta e Carlo Maderno, era situata in “Piazza di Francia”. La chiesa era legata alla piazza sottostante unicamente da due strade ripide e fangose poste lungo il pendio e percorribili unicamente a piedi.
Nel 1620, un ambasciatore spagnolo prese in affitto un piccolo palazzo sulla piazza che, con l’incremento dei commerci, spinse re Filippo IV di Spagna ad acquistare l’intero edificio per trasformarlo in sede permanente dei suoi ambasciatori a Roma. Nel 1647, “Palazzo di Spagna” diventa sede dell’ambasciata spagnola in Vaticano: da allora la piazza è detta “di Spagna”.

Questo territorio portava i segni di un memorabile antagonismo di egemonia tra due grandi potenze europee presenti in Italia e precisamente a Roma dove Francia e Spagna alloggiavano molto vicine, attorno a una piazza

Uno dei primi progetti per la realizzazione della Piazza risale al 1660, ma non andò in porto. Sollecitato del Cardinale Mazzarino, vicino alla corte francese, esso prevedeva una struttura scenica che includeva anche la Barcaccia del giovane Gianlorenzo Bernini (La Barcaccia: Pietro o Gian Lorenzo?).
Nel 1717, per iniziativa di papa Clemente XI, venne bandito un concorso tra i maggiori architetti del tempo, Alessandro Specchi (1666–1729), Francesco De Sanctis, Alessandro Gaulli (1666-1728) e Sebastiano Cipriani (1660–1738). I lavori iniziarono con Innocenzo XIII, che scelse il progetto del romano De Sanctis, e furono ultimati nel 1726 con Benedetto XIII. Il progetto definitivo di De Sanctis tenne in gran conto i disegni dello Specchi, tanto che oggi la critica considera l‘architetto coautore dell’opera.

Con la nuova scalinata di centotrentacinque gradini, De Sanctis risolse brillantemente la difficile situazione planimetrica, garantendo che dal basso fosse ben visibile la sommità della scala e la chiesa 

La successione delle rampe aperte a ventaglio è alterata da pause fatte di ripiani che assecondano il sito; lungo il percorso, trovano posto degli spazi di sosta, bei sedili utili e comodi secondo i princìpi dell’architettura settecentesca. 
De Sanctis riesce a trasformare l’intera area della piazza in un episodio urbanistico di altissimo livello, destinato alla circolazione e alla sosta per fruire il grande effetto scenografico, tutt’oggi visibile.
Infine, è bene ricordare che l’ampia visuale scenica progettata dai due architetti per quest’opera grandiosa, imponente e aristocratica nell’eleganza delle sue linee Rococò tutte in prospettiva, guarda alla tradizione urbanistica della Roma di Sisto V, la città dei viali e delle traiettorie costellate di obelischi. 


Filippo Raguzzini, Piazza Sant’Ignazio, 1727-1728, Roma

Piazza Sant’Ignazio, di Filippo Raguzzini, è una struttura chiusa fruibile solo da vicino in una dimensione intima e privata. Lo spazio sembra definito da quinte teatrali di un palcoscenico, con le abitazioni attorno alla chiesa barocca di Sant'Ignazio di Loyola
La piazza, infatti, è delineata dalle tipiche “case di abitazione”, appartamenti settecenteschi pensati e realizzati per la nascente borghesia. Queste nuova tipologia di abitazione contribuirà a cambiare radicalmente l’aspetto dell’Urbe che, da città monumentale Barocca, assumerà sempre più le caratteristiche di spazio cittadino.


Alessandro Galilei, Facciata di San Giovanni in Laterano, 1733-1763, Roma

Nel 1732, Alessandro Galilei (1691-1737), appartenente alla famiglia del celebre scienziato, vince un concorso denso di colpi di scena, indetto da Clemente XII per la facciata di San Giovanni in Laterano; Galilei primeggiava su architetti prestigiosi quali Luigi Vanvitelli (1700-1773) e Nicola Salvi, proposti dall'Accademia di San Luca

La facciata di Galilei presenta elementi classicheggianti di linguaggio Tardobarocco in un’epoca in cui il Rococò stava riducendo la sua presa nella Roma dei papi 

L‘architetto propone un colonnato colossale che solo apparentemente evoca Palladio, ma in realtà guarda sia agli ordini giganti di Michelangelo in Palazzo dei Conservatori in Campidoglio, sia alla facciata San Pietro di Carlo Maderno. 
Il colonnato, sormontato da una balaustra e una folla di statue gesticolanti, poste attorno a un Cristo benedicente issato su un piedistallo dalle curve borrominiane, si collega saldamente al gusto del Seicento romano, ancora espressione della Roma papalina. 
Ciò che invece distingue la classica facciata di San Giovanni in Laterano dai suoi modelli del passato, è la nuova relazione tra i vuoti e i pieni, le parti chiuse e le dominanti finestre aperte che determinano un effetto di chiaro scuro esaltante degli ordini e delle trabeazioni. 

Ferdinando Fuga, Santa Maria Maggiore, 1741-’43, Roma

Tra il 1741 e il ’43, un altro architetto fiorentino, Ferdinando Fuga (1699-1782), mette mano alla facciata di una seconda basilica papale, Santa Maria Maggiore. Qui,  propone le stesse caratteristiche compositive del Tardobarocco romano messe in opera da Galilei quasi un decennio prima. Lontano da ogni sinuosità Rococò, Fuga realizza una facciata severa e incastona tra gli ordini parte dell’antico edificio mosaicato della basilica reso così visibile.
Questa ondata di Tardobarocco andrà progressivamente a riproporsi nel contesto romano per mano di altri architetti, ma senza grandi risultati; il classicismo rimarrà dominante e si farà sempre più netto assumendo quella purezza che preannuncia lo stile Neoclassico. 

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Piazza di Spagna, Roma